“Ogni volta che in passato avevo osservato la nebbia vagante su quell’acqua, ero stato colpito dallo stesso pensiero: che quella fosse appunto la sede della traboccante forza sensuale che aveva dato vita al Padiglione d’oro. La bellezza sintetizzava quella lotta o contrasto tra le varie parti, e insieme ne rimaneva al disopra! Il Padiglione era stato costruito con polvere d’oro in una prolungata notte senza lume, come un sutra miniato sulle pagine blu scure di un testo liturgico. Tuttavia ignoravo se la bellezza fosse una cosa sola col Padiglione stesso, ovvero se fosse di una specie con la notte ed il nulla che lo circondavano. Probabilmente era tutto: le singole parti dell’edificio, il suo insieme, e la notte che lo racchiudeva. A questo pensiero, sentii che il mistero della bellezza del Padiglione, che tanto m’aveva tormentato, stava per svelarsi. Se si esaminavano i singoli particolari – i pilastri, le balaustre, le imposte, le porte, le finestre ornamentali, i tetti spioventi, l’Hosui-in, il Choondo, il Kukyocho, il Sôsei, l’immagine riflessa nello stagno, l’isolotto, i pini ed anche gli olmetti – si avvertiva che in nessuno di essi la bellezza era compiuta; giacché in ciascun elemento v’era un accenno della bellezza degli altri. La bellezza di ogni singola parte era per se stessa carica d’inquietudine: vagheggiava la perfezione senza possederla, e inevitabilmente anelava a quella delle altre parti. I vari accenni, così collegati tra loro e relativi ad una bellezza che non esisteva in nessuno di essi individualmente, costituivano la caratteristica essenziale del Padiglione d’oro. Essi erano dunque segni del nulla; e il nulla era la vera essenza di quella bellezza. Così, dall’incompiutezza dei vari elementi, derivava automaticamente una generale impressione di nulla; e quella leggera costruzione di legno sottile ne tremava, come una collana di gemme trema al vento.”
Yukio Mishima